Fideiussioni, la liberazione del fideiussore ex art. 1956 C.C., Cassazione ridisegna perimetro

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Liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c.: la Cassazione disegna il perimetro dei rapporti con il creditore

La fattispecie in esame rappresenta un “classico” dei rapporti bancari, che prevedono, nella stragrande maggioranza dei casi, l’abituale triangolazione di diritti, obblighi e responsabilità tra Banca finanziatrice, cliente debitore principale e terzo fideiussore, che interviene – sempre come vera e propria condicio sine qua non della concessione del credito – in qualità di garante, nell’ipotesi di inadempimento

Con la recentissima ordinanza n. 54 del 7 gennaio 2021, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte torna sul delicato tema della liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c. per tracciare i confini dei rapporti con il creditore: pur trattandosi di una pronuncia di inammissibilità, infatti, la Cassazione non manca di esprimere alcuni concetti di disciplina generale, che sono in linea con la posizione assunta in numerose altre occasioni.

La fattispecie in esame rappresenta un “classico” dei rapporti bancari, che prevedono, nella stragrande maggioranza dei casi, l’abituale triangolazione di diritti, obblighi e responsabilità tra Banca finanziatrice, cliente debitore principale e terzo fideiussore, che interviene – sempre come vera e propria condicio sine qua non della concessione del credito – in qualità di garante, nell’ipotesi di inadempimento: peraltro, non sempre quest’ultimo entra nella rete negoziale al momento della costituzione del rapporto originario, ma subentra talvolta in un secondo momento, solitamente nel caso di mantenimento e prolungamento del finanziamento o di un suo ampliamento.

Il giudizio, in primo grado, nasceva dall’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal fideiussore, che eccepiva la sua liberazione dai vincoli obbligatori nei confronti della Banca, ai sensi del citato art. 1956, primo comma, c.c. (“Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”): il Tribunale accoglieva solo parzialmente l’opposizione, mentre la Corte d’Appello – aderendo in toto alle prospettazioni di parte opponente – riteneva pienamente fondata la suddetta argomentazione, basata sulla circostanza essenziale che l’Istituto di credito, nel concedere il finanziamento, fosse venuto meno al dovere di evitare di accordare l’esposizione, valutando il peggioramento delle condizioni economiche del debitore.

La Corte di Cassazione, investita del ricorso della Banca, lo ha dichiarato – come anticipato – inammissibile, sostenendo che esso richiedesse esclusivamente una ricognizione fattuale della controversia, con una nuova valutazione del merito, non ammessa in sede di legittimità.

Ciò posto, l’ordinanza si sofferma su alcuni principi di estremo interesse per il settore, perché attinenti alla prassi dei rapporti in sede di finanziamenti bancari.

La Banca, infatti, aveva impostato le sue difese principalmente su due punti:

1) il fatto che il fideiussore, in sede contrattuale, avesse assunto l’obbligo di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e di informarsi dello svolgimento dei suoi rapporti con la Banca medesima;

2) la circostanza che si dovesse presumere una piena conoscenza da parte del fideiussore, dal momento che si trattava della madre del soggetto finanziato.

In questo senso, la Banca aveva sottolineato come proprio il mancato recesso del garante avesse costituito uno dei più rilevanti elementi di valutazione per la concessione di ulteriore credito: ciò a fronte della considerazione che la situazione finanziaria del debitore fosse già fortemente critica nel momento in cui veniva rilasciata la fideiussione.

La Corte prende posizione sulla questione e disegna i confini di applicabilità della norma, confermando le motivazioni della sentenza d’appello, laddove aveva ritenuto che, nel caso di specie, potesse ragionevolmente giungersi al convincimento che:

a) si fosse effettivamente verificato un peggioramento della condizione economica del debitore negli anni successivi, con un aggravamento assoluto in quelli più recenti;

b) tale deterioramento fosse conoscibile da parte della Banca “attraverso quell’attento esame dei bilanci (per alcuni anni), delle dichiarazioni dei redditi della società e delle risultanze dei pubblici registri, che può esigersi da un soggetto qualificato qual è un istituto di credito”.

Sotto tale profilo, il punto focale della pronuncia è rappresentato dal passaggio, nel quale la Cassazione evidenzia che “il principio evocato in ricorso (secondo cui la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria ove la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale debba presumersi comune anche al fideiussore) è affermato solo in presenza di circostanze che possano giustificare tale ultima presunzione”.

C’è spazio anche per il riferimento, in termini esemplificativi, a fattispecie concrete: “come nell’ipotesi in cui la debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore o della quale è socio, ovvero sia il coniuge o familiare convivente; v. Cass. N. 12456 del 1997; n. 7587 del 2001; n. 3761 del 2006): circostanze la cui valutazione, in un senso o nell’altro, comporta apprezzamento di fatto da ritenersi riservato al giudice del merito e che rimane insindacabile nel giudizio di legittimità, se non sul piano della motivazione e dei ristretti limiti in cui tale sindacato oggi è consentito, non potendosi invece predicare alcun automatismo inferenziale dal solo rapporto parentale”.

Tale impostazione si allinea al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che tende a valorizzare e dare concretezza agli obblighi informativi dell’istituto di credito nei confronti del garante, proprio alla luce del tenore dell’art. 1956, primo comma, c.c.:
“Obbligo precipuo del garantito verso il garante, soprattutto se riferito a un rapporto continuativo di concessione di credito affidato alla professionalità del garantito, è di comunicare al suo garante l’avvenuto mutamento in peius della consistenza patrimoniale generica del debitore, qualora si determini a non recedere dal rapporto. Ed invero, l’ipotesi contemplata dalla norma di cui all’articolo 1956 c.c. – con la quale si dispone che il creditore che, senza speciale autorizzazione del fideiussore per un’obbligazione futura, abbia concesso credito al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate, perde la garanzia concessa – vale per ogni situazione in cui si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto per cui viene concessa la garanzia fideiussoria, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo. Difatti, il creditore, il quale dispone di strumenti di autotutela che gli consentono di porre immediatamente termine al rapporto continuativo impedendo al debitore ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero la sua esposizione debitoria, se non vuole perdere il beneficio ottenuto dal garante, è tenuto pertanto ad informare il garante inconsapevole di tale situazione, affinché non venga persa, in ragione della volontà del creditore di aumentare il proprio margine di rischio, la garanzia patrimoniale generica su cui il garante ha fatto iniziale affidamento (Sez. 1, Sentenza n. 21730 del 22/10/2010; Sez. 1, Ordinanza n. 27932 del 31/10/2018)” (da ultimo: Cass. Civ., sez. III, 13 dicembre 2019, n. 32774).

È un principio, assolutamente condivisibile, che risponde anche a giuste necessità di contemperamento degli interessi delle parti alla luce dei criteri generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contatti: esso va inteso in senso oggettivo, dal momento che pone un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando in senso bilaterale, consente di attribuire a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, indipendentemente dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da specifiche disposizioni di legge.

Pertanto, nella fideiussione per obbligazione futura, l’onere – a carico del creditore – di richiedere la preventiva autorizzazione del fideiussore prima di mantenere o accordare nuovo credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali si siano aggravate successivamente alla sottoscrizione del contratto di garanzia, ha la finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando detta autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, economicamente più gravosa.

Tratto da Norme & tributi Plus